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Descrizione

Secondo Cicerone, "la più grande e bella città Greca di tutte"
Dal 2005 sito UNESCO Patrimonio dell'Umanità

Siracusa è il ridente Capoluogo dell'omonima Provincia del Sud Est della Sicilia , che conta 120.000 abitanti.
Posizionata tra i Monti Iblei, i fiumi Anapo, Cassibile, e il Ciane, (unico al mondo in cui il Papiro cresce allo stato spontaneo), il suo territorio è un alternarsi di colline e terrazze. I monumenti di Siracusa offrono una testimonianza unica dello sviluppo della civiltà Mediterranea.
L'offerta turistica della Zona, è basata sia sulle testimonianze delle millenarie Civiltà, che sulle straordinarie varietà Naturalistiche e Gastronomiche.
Ortigia, le Riserve, Pantalica, il Plemmirio, Vendicari, le Saline formate dal fiume Ciane, ma anche Brucoli, le Spiaggie, le Scogliere,  le Tonnare.

Ogni anno, al Teatro Greco della Neapolis, vanno in scena le rappresentazioni classiche, quali le tragedie di Eschilo, Sofocle, Euripide con compagnie di attori internazionali.

Ricezione varia con Hotels, Casa Vacanze, Appartamenti, B&B, Affittacamere.

Originale la gastronomia, i Prodotti Tipici, la Pasticceria, e i Gelati artigianali.

 

Storia

Storia breve di Siracusa

Il nome
Il nome Siracusa deriva dall'unione del termine Syraka (forse il nome siculo di una vicina palude?) con il suffisso -usa, tipicamente greco, molto diffuso in Sicilia (Ragusa, Pergusa, Lampedusa, Ravanusa etc.).

La fondazione (753 a.C.)
Nel 753 a.C il corinzio Archia si insedia nell'isoletta di Ortigia, il centro storico dell'attuale Siracusa, con qualche centinaio di giovani guerrieri, determinati a non tornare mai più in patria. Le femmine, con cui fare famiglia e fondare una nuova stirpe, le avrebbero trovate sul posto. Non andavano verso l'ignoto, però. L'isola di Ortigia era già abitata. Ci sono evidenze archeologiche di un insediamento commerciale miceneo: questo significa che già da almeno 500 anni i Greci , mescolati ai Siculi, conoscevano e frequentavano quel porto, senza averlo mai fatto diventare una vera città. Archia, però, è il primo a tracciare vie cittadine e fondare templi, in parte sopravvissuti fino ai giorni nostri, dando origine consapevolmente a una polis: la città-stato degli antichi Greci. I Siculi che non vogliono assoggettarsi si rifugiano nei canyon di Pantalica e di Cava d'Ispica: luoghi affascinanti, ma molto scomodi.

La Siracusa dei secoli d'oro (753 a.C. - 214 a.C.)
Nei cinque secoli successivi alla fondazione, la città prosperò e si impose in modo molto aggressivo sulle altre città greche e sulle comunità sicule di Sicilia. Siracusa trovò un argine alla sua espansione solo nella strapotente Cartagine, padrona della punta occidentale dell'isola. Lo stato di guerra permanente logorò le risorse della città, ma non le impedì di accrescersi vistosamente. Dall'iniziale insediamento dell'Ortigia, arrivò a occupare tutto l'altopiano che si estende dal porto fino all'attuale Belvedere, con un giro di mura che superava i venti chilometri. Le risorse agricole a sua disposizione erano esuberanti: alle sue spalle si estende tutt'oggi una piana irrigua fertilissima. Si calcola che nel periodo di maggiore splendore le mura contenessero ben mezzo milione di abitanti. Nel frattempo, la città respingeva brillantemente l'aggressione di un'agguerrita flotta ateniese e riusciva persino, con Agatocle, ad assediare Cartagine: solo i Romani potranno fare altrettanto, un secolo più tardi, con Scipione.

La conquista romana (214 a.C.)
La fine dell'autonomia politica arriva con la flotta romana, che sotto la guida del console Marcello assedia Siracusa per più di un anno. La contrastò con grande efficacia il celebre Archimede, che mise al servizio della città le sue conoscenze scientifiche. Forse i famosi specchi ustori, che bruciavano le navi concentrando la luce solare, sono solamente un mito, ma altre sue invenzioni sono sicuramente esistite, come la gru che dalle mura afferrava la prua delle navi e le faceva affondare da poppa. I Romani vinsero solo grazie a una banale disattenzione dei difensori, che durante una festa cittadina lasciarono sguarnita una torre. Nel saccheggio che ne seguì, Archimede fu ucciso e scomparvero, per poi finire a Roma, le più belle opera d'arte che ornavano la città.

Il periodo romano (214 a.C. - inizi sesto secolo d.C.)
Per settecento anni, dopo la vittoria di Marcello, la città continuò a essere il capoluogo della provincia romana di Sicilia: un capoluogo, ma di un territorio brutalmente sfruttato e mai davvero integrato nella vita dell'impero. Gli eventi di rilievo furono tutti legati all'avvento del Cristianesimo: da Siracusa, passò San Paolo nel suo viaggio da Gerusalemme verso Roma. Grazie a questo passaggio, secondo la tradizione, Siracusa fu riconosciuta come uno dei primi centri di irradiamento della fede cristiana nell'impero romano. L'unico personaggio famoso di questo lungo periodo, unico ma di rilievo internazionale, è santa Lucia, le cui spoglie (se sono vere ) oggi riposano a Venezia.

Il periodo bizantino (inizi sesto secolo d.C.- metà nono secolo d.C.)
Per trecento anni, sotto il dominio di Costantinopoli, la situazione di Siracusa non mutò molto rispetto ai tempi di Roma. Continuava ad essere il capoluogo di una provincia depressa e sfruttata. L'unico evento di rilievo avviene nell'ottavo secolo, quando un imperatore, temendo i Mussulmani che già premevano dall'Asia, decide di rifugiarsi in Sicilia e fa di Siracusa, per qualche anno, la capitale dell'impero Bizantino.

Il periodo mussulmano ( metà nono secolo - metà undicesimo secolo)
Il passaggio dai bizantini ai mussulmani è drammatico: la città cade dopo un sanguinoso assedio durato un anno. Dopo la strage iniziale, i conquistatori deportano in catene parte della popolazione a Palermo. Chi vive nelle campagne si rifugia nelle grotte di Pantalica, dove quasi duemila anni prima si erano rifugiati i Siculi in fuga dai Greci. Siracusa decade di rango: con gli Arabi, la capitale diventa Palermo, e tale rimane da allora.

Dal dominio Normanno (metà dell'undicesimo secolo) al terremoto del 1693.
L'arrivo dei bellicosi Normanni non favorì particolarmente la città: gli abitanti abbandonarono le lingue fino a quel momento parlate - l'arabo e il greco - e adottarono il latino volgare, utile per seguire le liturgie della chiesa cattolica ed entrare in contatto con gli invasori. I Normanni, infatti, si avvalsero dell'aiuto di un numero consistente di Norditaliani (molti i Lombardi) che si insediarono in Sicilia in posizioni di comando, sulla scia del successo normanno. I Greci originari, per quanto Cristiani, non ebbero dunque alcuna rivincita, ma furono trattati alla stessa stregua dei Mussulmani. Seguono secoli in cui si avvicendano dominazioni straniere, e con ciascuna di esse diverse lingue e diverse aristocrazie che si insediano nelle campagne: Svevi, Angioini, Aragonesi, Spagnoli. L'unico vero elemento di continuità della popolazione siracusana è la comunità ebraica, molto numerosa, confinata in una parte dell'Ortigia chiamata Giudecca. Questa comunità subisce il bando di deportazione emanato dalla corona di Spagna nel 1492 e si disperde tra Roma, Istambul e Salonicco; la Giudecca, divenuto un quartiere fantasma, si popola di pescatori e vede le sinagoghe e i bagni rituali ebraici trasformati in chiese o dimenticati per secoli sotto detriti di vario tipo. La città acquista un aspetto medievale, che subisce nel 1693 la catastrofe di un terremoto devastante. A Siracusa muore circa un terzo dei 15.000 abitanti (a proposito: quanta distanza dal mezzo milione dei tempi antichi!).

Dal 1693 ai giorni nostri.
L'intenso fervore edilizio che seguì al terremoto trasformò l'aspetto della città, che nel corso del Settecento assunse un aspetto prevalentemente barocco. La sua importanza politica, però, già ridimensionata al tempo degli Arabi, subisce un'ulteriore umiliazione per mano dei Borboni, che le preferiscono Noto come capoluogo di provincia. Riacquista il rango di capoluogo dopo l'unità d'Italia, nel 1860, per volontà dello Stato unitario, che esprime così la sua discontinuità rispetto all'operato dei Borboni. Da quel momento, inizia un lento sviluppo che riporta la città, ridotta nel 1860 entro i confini dell'isoletta di Ortigia, pian piano a rioccupare gli spazi dell'altopiano soprastante. Fattori di sviluppo furono, a fine Ottocento, la costruzione di un porto industriale con annessa stazione ferroviaria, utilizzati per l'imbarco dei prodotti minerari e agricoli, e la decisione di rappresentare nel teatro Greco i drammi superstiti degli antichi tragici: un forte stimolo alla nascita del turismo. Purtroppo, il mito dell'industrialismo portò grandi guasti negli anni 60 e 70. La zona costiera a nord della città, per un'estensione di venti chilometri e una profondità di due, divenne un'unica, ininterrotta raffineria: pochi vantaggi economici, grandissimi danni al territorio e alla salute pubblica. L'Ortigia, negli anni Ottanta, subì un processo di degrado e di abbandono, a favore di nuovi quartieri costruiti sulla terraferma senza piano urbanistico, a danno spesso di importanti siti archeologici. Solo a partire dal 2000, grazie a molti, notevoli investimenti da parte di forestieri, sembra di assistere a una rinascita, anche se solo turistica, dell'isola di Ortigia.

Lungomare del Porto Grande: la fonte Aretusa
Il Foro Vittorio Emanuele II termina verso Sud con l'edificio della Capitaneria di Porto e si trasforma in un giardino di giganteschi ficus; passa poi accanto a una minuscola spiaggetta; arriva infine a costeggiare la celebre Fonte Aretusa. Aretusa è una polla d'acqua potabile che sgorga copiosa a pochi metri dal mare. Si pensi solo allo strano percorso che dalla terraferma deve fare la falda per arrivare fino a questo luogo, passando sotto il mare! Fu grazie all'Aretusa, se la città potè resistere a lunghissimi assedi. La stranezza di una sorgente simile, in un'isoletta come Ortigia, fece nascere in età greca il mito di una ninfa greca, Aretusa appunto, che per sfuggire alle avances del fiume Alfeo, si tuffò nelle viscere del Peloponneso, passò sotto lo Jonio e sbucò in Ortigia. Inutilmente, però, perché Alfeo, tenace, sgorga ancora dal buco da cui emerse Aretusa. Una statua di bronzo, lì accanto, ricorda questo mito. Gli antichi Siracusani sostenevano che quando a Olimpia, nel Peloponneso, facevano grandi sacrifici cruenti di buoi, il sangue finito nell'Alfeo tingeva di rosso le acque di questa sorgente. La strenua resistenza di Aretusa a mischiarsi con le lordure dell'Alfeo garantiva la purezza delle sue acque: questo spiega il fatto che l'effigie della ninfa fosse sempre presente nelle monete dei suoi concittadini, a lei grati per il dono di acque così limpide. Il suo prestigio, dunque, e certo la bontà delle sue acque, indussero l'ammiraglio Nelson a rifornire da questa fonte la sua flotta, poco prima della battaglia di Abu Qir (1798). Oggi, nella sorgente cresce spontaneo il papiro egiziano e vi si aggirano enormi pesci rossi: li ingrassano i turisti che si affacciano a guardare dalle balaustre. Al posto della ninfa che difende a oltranza la sua verginità, i Siracusani in età cristiana hanno eletto come loro patrona Santa Lucia: anche lei una vergine, determinata fino alla morte a rimanere tale.

Lungomare del Porto Grande: il castello Maniace.
Lasciando l'Aretusa, il lungomare prosegue verso sud, costeggiato da molti ristoranti e bar con vista sul Porto Grande, fino ad arrivare al Castello Maniace. Il castello vero e proprio è dentro una struttura più ampia che si è stratificata nel corso dei secoli: questa struttura nasconde in parte la forma mirabile che gl'ingegneri di Federico II di Svevia avevano dato a una fortezza che già esisteva da tantissimo tempo. Siamo sulla punta di Ortigia, a mille metri di distanza dal promontorio del Plemmirio, che dall'altra parte del mare chiude il Porto Grande. Per di qua erano entrati gli Ateniesi con la loro flotta, senza accorgersi della trappola mortale in cui si stavano cacciando. Da qui, una notte, i Siracusani tirarono una catena di ferro lunga un chilometro, appoggiata a decine di zattere, che impedì per sempre alla flotta ateniese di fuggire o di ricevere rifornimenti. Un punto strategico, dunque. Mille e cinquecento anni dopo, i Bizantini, guidati dal generale Maniace, occuparono questa fortezza nel tentativo di riconquistare Siracusa, ormai araba da più di un secolo. Non ci riuscirono, ma il nome di Maniace si legò per sempre al luogo. Chi lasciò qui la sua impronta più bella fu Federico II, che aveva tra le tante qualità anche quella di saper costruire castelli magnifici, tagliati nella pietra come gemme. Al castello quadrato di Federico gli Spagnoli, nel Seicento, aggiunsero poderosi bastioni a prova di cannone, che per i due secoli successivi resero inviolabile il porto di Siracusa.

Lungomare esterno: l'assedio di Marcello e Archimede
Proseguiamo sul lungomare dal Castello Maniace, ma questa volta verso nord e sul mare aperto. Qui si ha un'idea di come dovevano essere le mura cittadine all'epoca in cui il console Marcello assediò la città per più di un anno, senza risultato (anno 212 a.C.). Le navi romane impararono ben presto a non avvicinarsi troppo a queste mura, perché all'improvviso spuntavano da dietro gli spalti delle mostruose mani meccaniche, appese a enormi gru, che afferravano la prua, mettevano la nave in verticale e la mollavano di colpo, facendola inabissare con tutto il suo equipaggio. Si trattava di un'invenzione del solito Archimede, che oltre ad essere uno scienziato era per di più un ottimo ingegnere militare. Dicono addirittura che riuscisse a concentrare i raggi del sole con i famosi specchi ustori e a bruciare in questo modo le vele dei Romani! Finora però nessuno è mai riuscito realmente a riprodurre un simile prodigio. Tutto il resto, invece, è più che verosimile. Archimede, infatti, non si limitò a creare poderose gru: grazie a lui, l'intero perimetro delle mura cittadine (ed erano chilometri) pullulava di balestre e catapulte, per l'epoca armi all'avanguardia. Insomma, Siracusa fu presa non con la forza ma con un colpo di mano poco leale, non certo in linea con le tradizioni dei Romani, abituati a vincere schiacciando brutalmente i nemici. Purtroppo per loro, Archimede fu ucciso nella confusione generale del saccheggio: avrebbe potuto essere molto utile a Marcello, nella guerra che stava combattendo contro Annibale.

Giudecca: il miqwè di via Alagonia.
Affacciato sul lungomare esterno (o via Nizza), c'è il quartiere della Giudecca, che, come dice chiaramente il nome, era il ghetto degli Ebrei siracusani. La comunità si estinse negli anni in cui due demenziali decreti dei reali di Spagna non la espulsero dalla Sicilia, provocando fra l'altro una gravissima depressione economica (1492, espulsione degli Ebrei e 1515, espulsione degli Ebrei convertiti). Le case della Giudecca furono occupate dai pescatori e per secoli un mondo intero cadde nell'oblio: della comunità ebraica che era vissuta in città per più di mille anni era rimasto solo il nome del quartiere. Alla fine del Novecento, un privato che stava ristrutturando una casa in via Alagonia per trasformarla in albergo, scoprì una scala piena di terra che scendeva nel sottosuolo per molti metri. Portando via camionate di detriti, arrivò, circa quindici metri più sotto, a un ambiente di forma mai vista prima, allagato da acqua corrente. Si trattava, come appurarono gli archeologi, di un bagno lustrale ebraico, chiamato miqwè : un ambiente dedicato ai bagni purificatori, che il rito ebraico imponeva in occasione di importanti ricorrenze, come per esempio i matrimoni. Allo scopo, era necessaria un'acqua sorgiva, che nell'isola di Ortigia non manca, come abbiamo già visto per l'Aretusa. Pare che in Europa di questi miqwè non ne sia rimasto nessuno, tranne che a Siracusa. Oggi il miqwè è visitabile, con guida, entrando nella hall del residence Alla Giudecca, di via Alagonia.

Giudecca: San Filippo, culto delle mummie, rifugi e miqwè.
A pochi passi dalla via Alagonia, la chiesa di San Filippo, costruita su quella che era la Sinagoga della Giudecca, presenta in una botola aperta proprio all'ingresso una sorpresa interessantissima. Una guida ti porta a un livello inferiore, scavato nella roccia, in cui si apre un ambiente adibito a un singolare culto locale dei morti. A Siracusa, infatti, come a Palermo e in diversi altri centri minori della Sicilia, chi faceva parte di una certa confraternita religiosa aveva il privilegio di far mummificare il caro estinto, in modo tale da poterlo visitare così come lo ricordava da vivo. La cripta della chiesa di San Filippo aveva dunque le strutture necessarie per mummificare i cadaveri, che subivano trattamenti diversi a seconda dei mezzi di cui disponevano le loro famiglie. Ma le sorprese non finiscono qui. Le scale continuano a scendere, fino ad arrivare a un rifugio antiaereo, usato durante la seconda guerra mondiale, collegato a una vastissima rete di corridoi scavati nella roccia. Pare che tutta l'isola sia percorsa da questi tunnel, che erano collegati a tutte le chiese e a molti palazzi. Erano usati anticamente per fuggire nascostamente in caso di necessità; in tempi più recenti, pare che fossero utilizzati dai contrabbandieri per nascondere i loro traffici. Altre scale, infine, scendono a chiocciola fino a intercettare anche qui una vena sorgiva e creare, come in via Alagonia, un miqwè.

Tempio di Apollo
Addentrandosi nei vicoli che partono dalla reggia di Ierone, si arriva nella via Dione, che conviene seguire verso nord fino alla via dell'Apollonion. Lì girate a sinistra, e nel pieno del vicolo vi troverete di fronte a due colonne doriche del tempio di Apollo. Non rimane molto altro del tempio, che nei millenni è stato trasformato in chiesa, in caserma e in chissà cos'altro. Ma quelle colonne che spuntano colossali tra le casette dei pescatori sono una vera emozione.

Latomie siracusane
Il grande tavolato calcareo dei monti Iblei, su cui sorge Siracusa, è stato storicamente alle origini della sua prosperità. L’acqua delle montagne scorre in falde che si mantengono intatte e accessibili fino alla riva del mare. L’osservazione di questo fenomeno stimolò i più antichi colonizzatori a scavare un gran numero di pozzi e cisterne. La roccia era facile da tagliare, la profondità da raggiungere non era eccessiva e, soprattutto, il premio della fatica era doppio. Lo scavo, infatti, non solo liberava una ricca vena di acqua fresca anche d’estate, ma produceva in più una quantità di pietrame bianco, facile da lavorare, ottimo per le costruzioni. Da qui nacquero i blocchi squadrati e i rocchi di colonna necessari per i grandi edifici pubblici della Siracusa greca. Le località migliori erano gli speroni rocciosi che offrivano più facilmente i fianchi all’aggressione dei picconi e dei cunei. Si crearono enormi voragini, chiamate Latomie (in Greco: tagli di pietra). Le Latomie avevano profondità vertiginose e le scale d’accesso erano facilmente controllabili. Si trasformarono, dunque, in prigioni a cielo aperto, per schiavi, delinquenti e prigionieri di guerra: da lì non si fuggiva.

Latomia dei Cappuccini
In una di queste latomie, che oggi è chiamata Latomia dei Cappuccini, finirono gli Ateniesi catturati dopo la disastrosa spedizione contro Siracusa del 415 - 413 a.C.. Pochissimi uscirono da quell'inferno. Oggi, queste cave sono meravigliosi guardini, pieni di agrumi, banani, ortaggi e fiori; all’epoca, erano voragini polverose e arroventate dal sole. Tra i prigionieri di questa Latomia quasi nessuno tornò ad Atene: i Siracusani risparmiarono solo quelli che sapevano cantare a memoria le arie di Euripide, autore di teatro ateniese apprezzato e amato anche in Sicilia. Gli altri, stando accalcati per mesi al caldo e al freddo, con una dieta giornaliera di una ciotola d'acqua e un pugno di grano non macinato, morirono in massa, nel più orribile dei lager che si possa immaginare.

Catacombe di San Giovanni
Anche i pozzi e le cisterne scavati in zona per intercettare la falda acquifera ebbero una trasformazione interessante. Forse a causa di un terremoto, la falda cambiò il suo corso e lasciò a secco i pozzi: i primi Cristiani li allargarono e li collegarono con gallerie orizzontali, creando estese catacombe, seconde per importanza solo a quelle romane. Lì seppellivano i loro defunti, in nicchie scavate nelle pareti di roccia. Tra queste catacombe, le più importanti sono quelle di San Giovanni, un labirinto affascinante di antichissime tombe cristiane. Vi si accede da un ingresso situato accanto al chiostro di una chiesa senza tetto: ora sono le rovine a cielo aperto della chiesa di San Giovanni, ma in origine erano un tempio greco, forse dedicato a Demetra e Kore.

Cripta di San Marciano
Sotto il tempio di Demetra, i cristiani avevano scavato nella roccia quella che si pensa sia stata la prima chiesa cristiana d'Occidente: il luogo di sepoltura di San Marciano, primo vescovo di Siracusa e discepolo di San Paolo. È ancora conservato il sarcofago del santo, con una finestrella ricavata nella pietra, per consentire ai fedeli di toccare il cadavere e sperare di ricavarne un influsso miracoloso!

Latomia del Paradiso e "orecchio di Dionisio"
La Latomia siracusana più grande è senza dubbio quella chiamata Del Paradiso: una voragine con un diametro di duecento metri, profonda trenta e ricchissima di vegetazione tropicale. Il perché del nome Paradiso lo capisce chi si addentra in quel giardino. Le pareti a picco della Latomia, a loro volta, si aprono in orizzontale, formando enormi caverne. La più famosa tra queste è il cosiddetto "orecchio di Dionisio": da fuori, sembra un gigantesco condotto uditivo che si insinua nella roccia. Un gioco interessante consiste nel camminare coraggiosamente nel buio, fino a toccare il fondo della caverna. Non vale accendere il telefonino.

Il teatro: da Eschilo ai nostri giorni
Sulla collina soprastante, in corrispondenza dell'orecchio di Dionisio, i Greci di Siracusa scavarono uno dei più grandi teatri dei loro tempi. Durante il Medioevo le alluvioni lo seppellirono parzialmente coi loro detriti. Abbiamo curiose illustrazioni di viaggiatori del Settecento che mostrano mucche al pascolo tra le gradinate della platea, coperte di terra ma qua e là ancora visibili. Ai primi del Novecento, gli archeologi riportarono alla luce il sito: dopo millenni, rinacque l'uso antico di salutare la bella stagione con le rappresentazioni teatrali. Qui, da un secolo, ogni anno, si mettono in scena drammi dell'antico repertorio greco. Uno degli antichi autori, l'ateniese Eschilo, ospite del re Ierone, aveva frequentato di persona proprio questo teatro e vi aveva fatto rappresentare le sue grandiose tragedie: tra queste, di sicuro, anche l'Orestea. Il secolo scorso, duemila anni dopo, è qui che Vittorio Gassman ha recitato nel ruolo di Agamennone, in una memorabile edizione dell'Orestea, tradotta da Pasolini.

L'ara di Ierone e le ecatombi
A poca distanza dal teatro, una lunga piattaforma di calcare bianco ricavata dalla roccia del suolo è ciò che rimane della cosiddetta "ara di Ierone": un colossale altare destinato ai sacrifici solenni in onore di Zeus, le "ecatombi". Il re Ierone, a sue spese, faceva salire sull'ara cento buoi (in greco, ecatombe). Con un gesto spettacolare, nello stesso istante, cento inservienti tagliavano la gola alle bestie, che si accasciavano insieme. Che spettacolo! Seguiva un colossale barbecue, offerto alla città intera. Solo nella ricca Siracusa di quei tempi potevano succedere cose simili.

L'anfitetro romano
Appena oltre l'ara di Ierone, sono ancora visibili i resti dell'anfiteatro romano. In che cosa differiva un anfiteatro da un teatro? Prima di tutto nella forma: il teatro è una conchiglia aperta verso la scena, mentre l'anfiteatro è un doppio teatro, in cui lo spettacolo si svolge in uno spazio chiuso tutt'intorno alla platea degli spettatori. Differiscono, oltre che per la forma, anche per il tipo di spettacoli che vi si svolgevano: mentre il teatro metteva in scena drammi, nell'anfiteatro invece si svolgevano i giochi (mortali) dei gladiatori e le finte battaglie navali. Per quest'ultimo uso, un acquedotto serviva per allagare l'arena. Le navi che si affrontavano in battaglia erano poco più che giocattoli, ma gli equipaggi che soccombevano andavano incontro a una morte vera. È bene specificare che l'anfiteatro era una costruzione romana, posteriore alla conquista del console Marcello, e che tali spettacoli erano graditi soprattutto ai Romani.

Museo Paolo Orsi
Il grande museo archeologico dedicato all'archeologo Paolo Orsi (viale Teocrito) offre una visita molto più soddisfacente di quanto possa aspettarsi anche una persona non interessata all' archeologia. Vi è infatti contenuta una collezione numismatica strabiliante, a cui si accede superando porte blindate che neanche nel caveau di una grande banca potete trovare. Quando entrate, rimanete abbagliati dall'enorme quantità di oro e di argento esposto: sono migliaia di monete e monili luccicanti, ritrovati nelle tombe di mezza Sicilia. Se poi ci si avvicina alle vetrine per guardarle da vicino, si rimane stregati dalla loro bellezza. Carri da corsa trainati da cavalli al galoppo, ragazze che sorridono tra i delfini, divinità, tartarughe, lepri, aquile, cavalieri, vittorie alate: simboli che si alternano e si richiamano con tante variazioni, in decine di bacheche incredibilmente fastose. Gli appassionati di archeologia, invece, oltre sulle monete, possono contare anche sul resto. Il museo è talmente ben corredato di didascalie da potersi considerare come un vero e proprio manuale di archeologia siciliana, squadernato in un grande spazio tridimensionale.

Madonna delle lacrime: astronave e santuario di demetra
La celebre immaginetta della Madonna piangente (la cosiddetta "Madonna delle lacrime") fu venerata per decenni in una piazzetta, al riparo di una modesta ma poeticissima pensilina di tubi Innocenti. Negli anni Ottanta, l'amministrazione comunale pensò che bisognava onorare più degnamente l'immaginetta miracolosa e fece costruire allo scopo un santuario colossale a forma di cono (o di astronave), che è diventato ormai il vero tratto distintivo dello skyline siracusano. L'edificio, colossale e pesantissimo, dà una strana sensazione al suo interno: nonostante l'altezza vertiginosa della volta a cono, mancano aria e luce. Una visita al suo interno, a parte i motivi religiosi, è però auspicabile per un motivo singolare: per costruire l'edificio, situato in zona archeologica, avrebbero dovuto demolire un piccolo santuario dedicato a Demetra. Per fortuna non l'hanno fatto, ma vi hanno costruito intorno la chiesa. Il risultato è che in questo santuario cristiano a forma di astronave si può vedere, dentro la chiesa, caso unico al mondo, tra i banchi dei fedeli, un edificio misterioso, di forma strana, che più di duemila anni fa era un tempio pagano.

Il sistema portuale.
La città si divide in due: la zona più grande sta nella terraferma, la più più piccola, in un'isola, di nome Ortigia. In mezzo, ci sono due porti, il Porto Piccolo e il Porto Grande, collegati da un canale. Questo schema era tipico nelle città greche: all'epoca delle navi a vela, avere due porti serviva per essere sempre in grado di rientrare, con qualsiasi vento. Se poi i due porti erano collegati, come in questo caso, si poteva entrare e uscire a piacimento. Nel Porto Grande, fino agli anni Sessanta del secolo scorso, attraccavano le navi di linea fin sotto i balconi delle case: il bello di questo porto, infatti, era che si trattava di un porto "cittadino". Chi si affacciava alla finestra, la mattina, si trovava davanti le navi di linea che venivano ora da Istanbul, ora da Beirut, o da Alessandria, da Malta, da Tripoli... Si aveva l'Oriente sotto casa. Poi sono arrivati i collegamenti aerei, e il porto è diventato un riparo per i pescherecci. Il porto Piccolo, invece, era ed è tuttora il cantiere per la manutenzione delle barche da pesca o da turismo. Nell'antichità, era l'arsenale per la costruzione delle triremi da guerra: è qui che Archimede sperimentò il suo argano, che col semplice movimento del braccio gli permetteva di tirare in secco una nave pesantissima, sotto lo sguardo incredulo dei Siracusani. Sul molo centrale che divide i due porti, non molto tempo fa, hanno collocato una statua in bronzo (bruttarella, però) dello scienziato. Due ponti collegano l'isola alla terraferma. In questo luogo, per millenni difeso da mura, si sono consumate in passato grandi stragi: tutte le volte che un invasore cercava di conquistare la città (Romani, Arabi, Normanni), doveva passare da questo punto. Oggi è un posto allegro e luminoso, ma si intuisce che è stato un posto nevralgico. Da qui, si entra nella zona più delicata di Siracusa, nel suo cuore prezioso: l'isola di Ortigia.

Mercato del pesce a Ortigia.
La via Emmanuele De Benedictis, tutte le mattine, ospita il mercato del pesce da almeno 2500 anni. Il luogo lo indica con precisione lo storico Tucidide: non si può sbagliare. Da venticinque secoli, senza mai saltare un giorno, i banchi delle pescherie in questa via si riempiono di pesce fresco, mentre dalle vasche piene di vongole partono spruzzi che colpiscono negli occhi i passanti. Un pescivendolo taglia a fettine un tonno colossale, fingendo di lamentarsi: "Gliel'avevo detto a quel cornuto di mio cognato di comprare del tonno, e quello che cosa mi ha portato? Prosciutto mi ha portato! Prosciutto!" mentre un altro ti agguanta, gridando "Dutturi, tastassi cca"(Dottore, assaggi qua), facendo finta di averti riconosciuto, con tanta partecipazione emotiva da farti pensare che forse, chissà, magari tanti anni fa...o magari ti ha scambiato per tuo padre. Ma no, non è possibile. Intanto, in fondo alla via, immerse nel verde, le rovine del grande tempio di Apollo fanno da quinta a quello che in realtà non è un mercato del pesce, ma un altro teatro.

Duomo (ex tempio di Athena e piazza)
La piazza del Duomo di Siracusa, a detta di tutti quelli che l'hanno visitata, è una delle più belle d' Italia. Vi si affacciano due chiese, due palazzi nobiliari, un giardino arcivescovile e diversi bar con tavolini. La facciata del Duomo è un delizioso esempio di barocco siciliano: caldo nel colore della pietra, ben proporzionato, vigoroso e sensuale. Il suo aspetto, più che contrastare, dialoga con la potentissima sorpresa che coglie il visitatore appena entra nella cattedrale: file di imponenti colonne doriche, alcune leggermente fuori asse per via dei terremoti (e che terremoti!) che in tutti questi millenni le hanno vigorosamente scrollate. Se si guarda verso l'altare, si ha comunque la sensazione di essere in una chiesa, nonostante il colonnato dorico. Se invece vi girate indietro, verso l'uscita, siete davvero all'interno del maestoso tempio di Athena, ancora aperto e funzionante. Nessun tempio dell'antichità, tranne il Pantheon di Roma, dà un'emozione simile. Nemmeno il Partenone.

Passaggio per la marina: magica dislocazione spaziale.
Ritornati nella piazza del Duomo, se costeggiate a sinistra il muro del giardino arcivescovile, trovate un piccolo ingresso con biglietteria: vale la pena di entrarvi (a patto che sia aperto, però! Cosa non sicura). Si scende in un sotterraneo scavato nella roccia, che assomiglia molto alle catacombe di san Giovanni: si tratta di una serie di colossali cisterne a campana, scavate nell'antichità e collegate da cunicoli che nella seconda guerra mondiale furono usati come rifugi antiaerei. Non molto più in là, si esce e ci si ritrova...sul lungomare, molto più in basso, in un punto che ad arrivarci per strada ci vorrebbero svariate centinaia di metri.

Lungomare del Porto Grande
Il lungomare (cioè il cosiddetto Foro Vittorio Emanuele II) è una passeggiata di circa trecento metri, costeggiata sul lato terra da una doppia fila di alberi che danno una fitta ombra (quanto mai gradita d'estate) e adibita sul lato mare ad attracco di grandi barche turistiche. Il luogo è storico, come peraltro ogni angolo di questa città: su questo lungomare si assiepò il popolo di Siracusa per assistere alla battaglia navale decisiva contro gli Ateniesi, combattuta nel porto grande. Come scrive Tucidide, ogni volta che i Siracusani riusciva ad affondare una nave ateniese, si alzava un coro di hurrà, e viceversa, c'erano pianti e grida di disperazione se affondava una nave cittadina. Il tifo era percepibile dalle navi, perché la battaglia avveniva a poche centinaia di metri. Per ristorare più in fretta i propri ragazzi, i Siracusani per quel giorno spostarono il mercato dalla via De Benedictis (o comunque si chiamasse all'epoca) sul lungomare. Gli Ateniesi, dall'altra parte, non potevano contare né sul tifo né sui ristori: e persero la battaglia.

Palazzo di Ierone (e dei suoi illustri ospiti)
Uscendo dalla Giudecca, c'è un luogo che dice poco da un punto di vista spettacolare, ma può dare letteralmente le vertigini a chi è amante della cultura greca. In via dei Mergulensi, ai piedi di un brutto edificio novecentesco adibito a scuola elementare, ci sono degli scavi che gli archeologi identificano come le fondamenta della reggia di Ierone. Ebbene, in quel luogo sono stati per anni ospiti del re e dei suoi discendenti personaggi come Eschilo, Pindaro, Bacchilide e sopra tutti, il filosofo Platone. Qualche atomo della loro persona sicuramente si aggira ancora in quegli spazi, e forse viene respirato anche dai bambini che frequentano la scuola soprastante. Chissà che non produca qualche benefico effetto.

Alcune delle cose che non descriveremo
Alla chiesa della Badia in piazza del Duomo è esposta la magnifica tela del Caravaggio intitolata Il seppellimento di Santa Lucia. Una bellissima pista ciclabile costeggia il mare e permette di arrivare alla tonnara di Santa Panagia (superbo tramonto con l'Etna sullo sfondo). Il castello Eurialo e le sue diaboliche trappole. La fonte Ciane con i papiri egiziani spontanei e la profonda polla sorgiva in cui si è immerso il carro di Plutone, con Proserpina prigioniera.

Dove mangiare.
In un cortile interno dell'Ortigia. È proprio bello. Ci sono tanti ristoranti che sono ospitati da un cortile interno. Sono tutti posti deliziosi. Tra i tanti, citiamo la trattoria Archimede in via Gemmellaro 8. Tra i ristoranti di pesce con vista mare, basta andare sui moli (per esempio alla Darsena, in Riva Garibaldi, o al Red Moon, sul Molo Santa Lucia).

Ragioni per cui vale la pena visitare Siracusa.
Troppe.

Testi MV

 

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